Prodotte in Asia a
prezzi bassissimi e vendute come autentiche
Le fedi sarde <<
made in Cina >> fanno insorgere duemila orafi
<< La Regione intervenga ed
applichi la legge di tutela >>
Cagliari - << Non abbiamo mai preso le posizione dire
che meriterebbero, ma questa volta siamo pronti ad occupare il consiglio
regionale >>. Galdino Saba, presidente degli orafi italiani, non ha più
voglia di tergiversare e perdere tempo con i politici. Per bloccare l’invasione
di campo dei cinesi e dei giapponesi che stanno per immettere migliaia di false
fedi sarde sul mercato attraverso una ditta di commercializzazione italiana,
non c’è tempo da perdere e occorre che la legge di tutela dell’artigianato
sardo venga messa in pratica. E subito.
Saba è terrorizzato, e a ragion veduta, per se stesso e i
suoi colleghi dal << pericolo giallo >>: se non si interviene
immediatamente, quasi tutte le 500 aziende orafe isolane con i loro 2000
addetti rischiano di chiudere i battenti. E 100 miliardi di fatturato annuo,
dovuto in massima parte alla vera sarda, gioiello – simbolo dell’artigianato,
potrebbero sfumare.
<< Visitavo gli stand di VicenzaOro – spiega Saba –
quando ho visto in bella mostra i modelli delle fedi sarde… made in Cina
>>. Ma in realtà anche il marchio era contraffatto. Tanto è bastato per
far drizzare le antenne e svolgere una breve indagine che ha portato il
presidente degli orafi a scoprire che una ditta di Alessandria ha sbaraccato e
ceduto i macchinari ad una azienda di Hong Kong che produce gioielli anche
artigianalmente a prezzi stracciatissimi: la manodopera incide 1000 lire al
grammo contro le 15-20 mila italiane. E la fattura del prodotto è valida. In Cina
lavorano i bambini, gli operai producono per 12 ore al giorno in cambio di un
pugno di riso. Insomma, non si può parlare certo di concorrenza di mercato.
Saba, fino ad oggi, non aveva paura più di tanto delle
imitazioni: la qualità era discutibile ed i clienti quindi erano in grado di
valutare e scegliere. E comunque i produttori sardi erano in grado di tenere
sotto controllo le ditte italiane che imitavano i nostri gioielli anche perché i
prezzi, per gli orefici che acquistavano la merce, necessariamente, si
discostavano di poco da quelli degli orafi sardi. Oggi non è più così. <<
Ora è troppo, nei nostri confronti e nei confronti dei clienti che chiedono un
prodotto artigianale e vengono truffati due volte: sull’origine dell’oggetto e
sul prezzo che per il pubblico resta invariato >>, aggiunge Galdino Saba,
e oscilla tra le 180-200 mila lire.
È necessario, dunque, secondo il presidente degli orafi
italiani, che la Regione e l’<<Isola>> si dotino di strumenti
concreti per la tutela del prodotto tradizionale con un marchio doc. in
particolare ritiene assurdo che la Regione ed il suo ente strumentale, l’<<Isola>>,
dopo aver varato la legge quadro n.433 del 1982 sull’artigianato, non siano
riusciti a creare un regolamento di attuazione snello e consono alle leggi del
mercato europeo e internazionale. << Sono stati spesi centinaia di
milioni per fare un marchio che non serve a nulla.
Nel caso specifico, è una vera beffa per gli artigiani orafi
conosciuti in tutto il mondo per la fede sarda >>, sostiene Saba il quale
conclude sostenendo che la classe politica è colpevole senza attenuanti di non
aver creato strumenti legislativi di tutela e di aver dimenticato troppo in
fretta che se si abbandonano tradizione e cultura si rischia di creare una
nuova disoccupazione in decine di piccole aziende, molte delle quali a livello
familiare, ma condotte con criteri moderni, che oggi si scontrano con una realtà
economica dominata da quelle aziende non sarde che producono a nostro discapito
artigianato falso.
(Articolo pubblicato da "La Nuova Sardegna" in
data Giovedì 28 Gennaio 1993)
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